martedì 3 giugno 2014

IL REX: NASCITA E FINE DI UN SOGNO ITALIANO - Intervista con Daniele Cambiaso



Ombre sul Rex, il romanzo di Daniele Cambiaso che abbiamo presentato nel precedente post ha il raro pregio di conglobare in felice proporzione la vicenda di fantasia, in cui agiscono personaggi sapientemente ritratti, con precisi riferimenti storici. Ciò ne fa un libro assolutamente originale ed appetibile per palati ghiotti di nostalgia.
Abbiamo chiesto all'Autore di raccontarci qualcosa di sé e della gestazione del suo godibilissmo romanzo:

NOSTALGIALLO: Caro Daniele,ci diresti in breve chi sei e cosa fai nella vita?
D.C.: Sono un insegnante di Lettere della scuola secondaria di primo grado, a giugno compirò 45 anni e del mio segno zodiacale, i Gemelli, posseggo molte caratteristiche: curiosità, vivacità, una certa incostanza e tendenza al disordine (visto dall’esterno! Io mi oriento benissimo…) nonché la tendenza a fantasticare. Vivo a Genova con mia moglie e mia figlia. La lettura è la mia grandissima passione, che mi accompagna fin dall’infanzia, per cui sono il cliente ideale delle librerie dove capito: non esco mai a mani vuote! Oltre ai classici, su cui mi sono formato, amo molto la narrativa italiana e, in particolare, la cosiddetta narrativa di tensione, che credo sappia raccontare con efficacia i lati più oscuri della nostra società.

N.: Quando e come ti si è rivelata la vocazione dello scrittore?
D.C.: È maturata progressivamente. Come dicevo, ho sempre amato i libri e mi sono accostato al mondo degli scrittori curando recensioni e collaborando con qualche web magazine. Questo mi ha portato a conoscere diversi autori e a stringere, in alcuni casi, rapporti di autentica amicizia. Fidandosi – bontà loro – del mio giudizio, mi facevano leggere in anteprima alcune loro opere mentre le scrivevano, così, per esempio, mi è capitato di assistere alla nascita di alcuni tra i migliori romanzi di Leonardo Gori, il che, per me, è stato un po’ come andare “a bottega” da Maestri d’eccezione. Fino a quel punto, comunque, mi consideravo un lettore privilegiato. A un certo punto, però, uno di loro, Angelo Marenzana, pensò bene di coinvolgermi in un’antologia di racconti di ambientazione storica. La faccenda mi sfuggì totalmente di mano e scrissi praticamente di getto un testo di 120.000 battute. L’occasione del racconto, ovviamente, sfumò, ma Angelo mi incoraggiò a farne un romanzo. Stava prendendo forma Ombre sul Rex.

N.:Ora focalizziamo l'attenzione sul tuo libro. Perché il Rex?
D.C.: Perché il Rex è un'icona, il simbolo di un'epoca, con le sue luci e le sue ombre. Ed è un'autentica leggenda del mare. La conquista del Nastro Azzurro è uno dei successi più prestigiosi della nostra Marina e, per i genovesi che ne conservano la memoria, è anche un vanto, essendo stato progettato, costruito e varato nei cantieri dell’Ansaldo di Sestri Ponente. Di recente, tra l’altro, proprio qui a Genova è stata organizzata una mostra per celebrare il settantesimo anniversario della grande impresa compiuta dal Comandante Tarabotto. Per me, poi, c’è stata la forte spinta di un fattore familiare: mio nonno era un tecnico dell’Ufficio Tracciati dell’Ansaldo ed è stato uno dei progettisti del Rex; in particolar modo si occupò della scritta, che è stata anche l’unica parte che si è salvata dalla distruzione alla fine della guerra. I suoi racconti, per me, sono stati una molla determinante

N.:Su quali basi hai costruito la storia del romanzo?
D.C.: Oltre a raccontare la nascita del Rex, ero interessato a esplorare i percorsi individuali all’interno degli ingranaggi del consenso e della repressione creati dal fascismo. L’ottima saggistica che esiste sull’Ovra e sul regime ha portato alla luce moltissimi aspetti, però chi fossero, come vivessero, cosa pensassero gli uomini che quotidianamente permettevano al regime di andare avanti possiamo solo immaginarlo. Ed è qui, forse, che il romanzo storico può permetterci di provare a formulare ipotesi, andando a incrociare gli eventi storici di grande portata con le microstorie individuali. Ecco, quindi, nascere Igino Menchini, il vicecommissario della Polizia Politica che svolge le indagini nel mio romanzo.
In più, mi interessava provare a mettere in scena le dinamiche del potere anche per quanto concerne la manipolazione delle notizie e della “verità”: se in un regime come quello fascista, il gioco risulta abbastanza scoperto, mentre nelle democrazie appare più sottile e inquietante, ed è a questo aspetto che fa riferimento il misterioso uomo col Borsalino bianco che compare nella Genova del 1931 nell’imminenza del varo, seminando scompiglio e qualche cadavere di troppo. Tutto il resto, ruota attorno a questi due poli e all’imponente sagoma del Rex in costruzione.

N.: È stato difficile ricostruire un’epoca di cui, per ovvie ragioni anagrafiche, hai una conoscenza solo indiretta?
D.C.:Una sfida difficile, sì, ma estremamente affascinante. Calarsi in un’epoca, in un mondo totalmente differenti è stato, alla fine, soprattutto divertente. Ho utilizzato moltissimo i quotidiani dell’epoca: oltre a innumerevoli dettagli apparentemente secondari sulla quotidianità genovese di quei giorni, mi hanno fornito delle notizie che si sono incastrate alla perfezione nella costruzione del mio romanzo. Ad esempio, l’incendio di un magazzino di pellicole cinematografiche, realmente avvenuto nei giorni del varo in un palazzo della centralissima via XX Settembre, è diventato una delle scene di maggiore drammaticità della mia storia, così come i resoconti dell’inaugurazione, che mi sono studiato con un’attenzione maniacale. L’aspetto più entusiasmante, però, è stato reperire una guida per turisti del 1931. Tutto, dagli orari dei negozi ai percorsi delle linee dei trasporti pubblici, era lì, sotto ai miei occhi, pronto per tornare a rivivere dentro un romanzo. Esaltante, lo dico sinceramente...

N.: Mentre approfondivi la vicenda della costruzione e del varo del transatlantico cosa ti ha più colpito?
D.C.: L’aspetto che maggiormente mi ha colpito è stato rendermi conto, attraverso la lettura di interviste e resoconti di varia natura, del forte senso di orgoglio professionale che una simile realizzazione ha saputo suscitare nelle maestranze dei cantieri navali, notoriamente poco inclini a simpatizzare col fascismo, pur nella consapevolezza che il Rex sarebbe stato usato dal regime per le sue iniziative propagandistiche. Col pensiero sono andato anche ai grandi successi aeronautici dell’epoca, ai fantastici voli di Balbo e De Pinedo, o alle imprese sportive: credo davvero sia accaduto lo stesso un po’ ovunque. L’orgoglio per l’eccellenza di un lavoro realizzato ritengo sia andato al di là, a un certo punto, delle valutazioni politiche e i cosiddetti “anni del consenso” indubbiamente si sono fondati sull’ampia ricaduta di un progresso che finalmente stava nobilitando l’Italia, nonostante si pagasse il prezzo della perdita di libertà politica. L’entità di questi costi, purtroppo, si sarebbe tragicamente rivelata circa un decennio dopo.

N.: La storia del Rex, a tuo avviso, potrebbe essere una valida metafora della parabola del regime fascista?
D.C.:Sì, possiamo senz’altro considerarla così. Il Rex è stato una delle realizzazioni più celebrate, creata per dimostrare la modernità e il progresso dell’Italia fascista, ed è finita sbriciolata dalla follia di una guerra voluta da un regime che alla fine ne è stato travolto, disseminando la nostra nazione di macerie morali e materiali dalle quali è stato penoso e difficile risollevarsi. Se ci pensiamo, non è accaduto solo al Rex. Le paludi Pontine allagate durante l’avanzata degli anglo-americani sono un’immagine che mi suscita la stessa penosa impressione. I filmati di repertorio che mostrano la distruzione del Rex inerme al largo di Capodistria fanno stringere il cuore e lasciano il retrogusto amaro della fine di un sogno, incenerito dalla miopia di chi aveva in mano le redini di un popolo e colpevolmente lo ha condotto alla tragedia.

N.: Scriverai ancora storie ambientate in quegli anni?
D.C.: Mi piacerebbe molto. Credo che siano anni che vadano ancora raccontati, esplorati, ricostruiti anche con lo strumento della narrativa. Ho un progetto, al riguardo, al quale lavoro da tempo perché lo sforzo di documentazione è notevole, per cui per scaramanzia preferisco non rivelare troppo. Diciamo che ha a che fare con un luogo esotico dell’Estremo Oriente citato alla fine di Ombre sul Rex, dove la presenza italiana, ancorché poco nota, ha lasciato tracce evidenti ancora oggi...

OMBRE SUL REX di Daniele Cambiaso

Chi è stato bambino all’epoca della Tv in bianco/nero con due canali sa con quanta trepidazione si attendeva quella domenica pomeriggio in cui ci era stato promesso, magari in premio per un bel voto preso a scuola, che saremo andati al cinema! L’immersione nella dimensione onirica del grande schermo faceva tremare i polsi, poco importava se il “sogno” si proiettava sulla tela di sale affollatissime e appestate dal fumo dove almeno il primo tempo del film si vedeva quasi sempre in piedi, pronti a scattare verso le poltrone che si liberassero...

Al cinema, una lontana domenica di quarant’anni fa, ho visto per la prima volta il Rex. Il film era Amarcord, uno dei capolavori di Federico Fellini, in cui il maestro racconta, tra i vari affreschi di vita, l'episodio del passaggio notturno del transatlantico proveniente dall'america - «la più grande realizzazione navale del regime» - a largo delle acque di Rimini; passaggio proclamato dalla propaganda fascista e atteso con impazienza dalla gente della cittadina romagnola che si sentiva chiamata all'appuntamento con la “Storia” grazie a quel fugace incontro marino. Il Rex di Amarcord era una sagoma di legno ricostruita a Cinecittà; perfino il mare Fellini lo aveva voluto riprodotto in studio con metri e metri di plastica ondeggiante e i flutti sollevati dal colosso che fende il mare erano getti d’acqua azionati da apposite pompe… Ma l’effetto di miraggio, di visione fantastica restava intatto. Il Rex, il vero Rex, era lungo quasi 270 metri e largo 30, alto 37 metri e dotato di un motore della potenza di 136.000 cavalli costituito da quattro gruppi di turbine che azionavano altrettante eliche di circa 5 metri di diametro. Era stato varato da Re Vittorio Emanuele III e dalla regina Elena il 1° agosto 1931 nei Cantieri Ansaldo di Sestri Ponente (Genova) ed era entrato in servizio a settembre del ‘32.  Nel 1933 in uno dei sui viaggi Gibilterra-New York, compiuto in 4 giorni 13 ore e 58 minuti alla velocità media di quasi 29 nodi, aveva conquistato il Nastro Azzurro, ambito trofeo per la più veloce traversata atlantica, strappando il record al transatlantico tedesco Bremen. Purtroppo la prodigiosa nave solcherà gli oceani soltanto per otto anni e verrà travolta, come l’Italia intera, dalla sciagurata avventura bellica: dopo l'armistizio (8/IX/1943) cade in mano ai tedeschi che nel tentativo di spostarla da Trieste nella più sicura baia di Capodistria la fanno arenare. Avvistata dai ricognitori della Royal Air Force, viene bombardata e brucia per quattro giorni prima di affondare. Stessa sorte tocca al transatlantico gemello Conte di Savoia, colpito dalla RAF nella laguna di Venezia.

Con Ombre sul Rex Daniele Cambiaso ci porta ai giorni immediatamente precedenti il varo del gigante del mare. Epoca scandita «dalla retorica del fascismo, dalla miseria, dai turni di lavoro massacranti, dalla sicurezza sul lavoro praticamente inesistente», come sottolinea Paolo Vinciguerra su Giallomania (http://www.giallomania.it). Protagonista è il vice commissario della polizia politica genovese Igino Menchini, funzionario ideologicamente tiepido, come in fondo sono stati molti italiani, ma compreso nella sua missione volta a conservare la legalità in un Paese avviato alla rovina. Le ore concitate che precedono il varo del transatlantico saranno decisive per sventare eventuali attentati o sabotaggi. Un misterioso uomo con il Borsalino bianco appena rientrato dagli Stati Uniti sarà lo sfuggente individuo a cui Menchini dovrà dare la caccia e che lo porterà a scoprire un intrigo dai risvolti imprevisti. Gerarchi, servizi segreti e “alti papaveri” saranno coinvolti in questa indagine ad alto rischio per tutti, soprattutto per Menchini che si troverà solo a fronteggiare segreti che dovevano restare tali

Daniele Cambiaso, Ombre sul Rex, Fratelli Frilli Editori, Genova 2008, pp. 311, € 12,50.

venerdì 27 settembre 2013

LA NEVE - Nuovo giallo vintage di Emanuele Gagliardi



Abbiamo conosciuto Emanuele Gagliardi in occasione dell’uscita del suo romanzo La Maschera (RaiEri, 2012) che oltre ad aver vinto la II edizione del Concorso letterario NarreRai,  riservato ai dipendenti del gruppo Rai, si è classificato al terzo posto al Contropremio Carver 2012.
In questi giorni esce nelle librerie un nuovo giallo di Gagliardi, La neve (Europa Edizioni, 2013). Insieme con la vicenda poliziesca, stavolta, si sviluppa una trama politica che parte dagli anni della Resistenza e giunge al Golpe Borghese del 1970.
NOSTALGIALLO: La neve, il titolo evoca più poesia che sangue…
EMANUELE GAGLIARDI: In verità la neve entra marginalmente nella trama. Serve anzitutto a collocare nel tempo la storia - che prende le mosse nei primi giorni del marzo 1971, durante l’ondata di freddo che si abbatté sulla Penisola con copiose nevicate, anche a Roma – ed è, diciamo così, l’elemento scatenante di una serie di circostanze che porteranno alla scoperta di un delitto.

N.: Un giallo sotto la neve? Brrrr…
E.: Non proprio, anche se… in effetti si tratta di un “cold case”, un “caso freddo”, sul genere di quelli proposti da una fortunata serie di telefilm americani attuali.

N.: Veniamo alla trama del tuo libro.
E.: La neve e le gelate, ieri come oggi, sono una vera maledizione per città impreparate come Roma. Ghiaccio e neve fanno scivolare gli incauti, slittare le automobili, sfondano i solai, sgretolano i gocciolatoi e fanno scoppiare i tubi… E proprio un tubo rotto a causa del gelo, e la conseguente perdita d’acqua, spinge il neoproprietario di un seminterrato di Via Germanico, nel quartiere Prati, a chiamare un idraulico. Per riparare il danno l’operaio butta giù un tramezzo e… macabra scoperta! In quello che era un vecchio gabinetto, il cadavere semi-mummificato di una donna a cui manca uno degli arti inferiori viene rinvenuto assiso su un water di antica foggia. Stringe fra le mani una busta di cellophane con dentro una copia de L’Espresso del 14 maggio 1967. Accanto al cadavere, l’arto ortopedico – evidentemente staccatosi dopo la decomposizione delle parti molli del moncone – e una borsa piena di cartoline illustrate risalenti agli ultimi anni della II Guerra mondiale.

N.: L’inquirente è sempre lo scanzonato commissario Soccodato?
E.: Naturalmente. La scorsa volta, parlando del commissario, venne fuori il fatto che egli è in qualche misura un mio alter ego. Proprio per questo non posso fare a meno di lui: è il mio tramite per proiettarmi e tornare a vivere gli Anni Settanta, un’epoca che amo e rimpiango anche se, o forse soprattutto perché, l’ho vissuta da bambino.

N.: Alla vicenda propriamente “gialla” si affianca stavolta una complicata trama politica…
E.: Sì. La copia de L’Espresso del 14 maggio 1967 Soccodato la riconosce subito, anche per il vistoso arancione della copertina e il titolo ad effetto “Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato”. All’interno Lino Jannuzzi svelava in un articolo i presunti complotti del Sifar (Servizio Informazioni Forze Armate), il  servizio segreto militare in seguito sciolto e rimpiazzato nel 1966 dal SID (Servizio Informazioni Difesa) e poi dal SISMI (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) nel 1977. Dal 1962 il Sifar era guidato dal generale Giovanni De Lorenzo sotto la cui direzione si dice sia cominciata una minuziosa fascicolatura, cioè una vasta raccolta di dossier su politici, militari, ecclesiastici (compresi Papa Giovanni XXIII e il successore Paolo VI), uomini di cultura, sindacalisti e giornalisti. A De Lorenzo è attribuita pure l’ideazione – secondo alcune fonti, fra cui L’Espresso, d’intesa con l’allora Presidente della Repubblica Antonio Segni – del cosiddetto Piano Solo, un colpo di Stato che nell’estate 1964 avrebbe dovuto portare al controllo del potere da parte dell’Arma dei Carabinieri attraverso l’occupazione di vari “centri nevralgici” e, soprattutto, con la cosiddetta “enucleazione”-  prelevamento e rapido allontanamento in luogo segreto - dei personaggi ritenuti politicamente più pericolosi. Progetto mai realizzato, per fortuna.

N.: Ma poi nel 1970 c’è stato un altro tentato golpe…
E.: Certo. Il cosiddetto Golpe Borghese. Doveva avvenire nella notte fra il 7 e l’8 dicembre del ’70. Abortì all’ultimo momento. Ma gli italiani ne verranno a conoscenza solo nel marzo del ’71, proprio durante i giorni della neve. Sarà Paese Sera a svelare per primo le trame della nuova congiura neofascista. Verrà arrestato il principe Junio Valerio Borghese, il “Principe Nero” ex comandante della X Mas, considerato l’ispiratore del complotto e altri elementi di estrema destra… Proprio per la contemporaneità con queste fresche rivelazioni, la scoperta della mummia di Via Germanico con in grembo L’Espresso che parla del Piano Solo è un vero colpo per i superiori di Soccodato che lo invitano più o meno delicatamente a muoversi con cautela se non a chiudere un occhio (e magari tutti e due).

N.: Ma Soccodato fa di testa sua...
E.: Ovvio! Unge, blandisce, rassicura, si schermisce, ma poi “tira diritto”. E quando avrà in mano elementi inoppugnabili, nessun “capoccione” potrà più negare l’evidenza.

N.: Abbiamo visto le implicazioni legate ai complotti di estrema destra. Ma c’è anche una storia legata alla Resistenza…
E.: Esatto. Senza anticipare più del lecito, posso dire che due personaggi assai prossimi alla donna trovata morta sono legati ad un episodio vieppiù trascurato dalla storia: la vicenda della Repubblica Partigiana di Montefiorino e della sua tragica capitolazione, il 1 agosto 1944, con scia di stragi naziste nei territori adiacenti di Monchio, Susano e Costrignano. Una storia raccontata in sordina perché, al di là della nota ferocia nazista, vi rientrano personaggi oscuri della Resistenza, in primis Nello Pini, comandante partigiano noto per i suoi eccessi e le uccisioni proditorie che in seguito sarà arrestato e giustiziato dai partigiani stessi.

N.: Anche ne La neve dimostri una particolare attenzione per i particolari, dalle musiche agli oggetti…
E.: Come dicevo prima, il principale motivo che mi sprona a scrivere è quello di tornare ad un’epoca indimenticabile. Quando scrivo mi immergo totalmente nel tempo che racconto e il piacere raddoppia quando riesco a rintracciare e inserire elementi storicamente esatti: le musiche del momento, le trasmissioni televisive che sono andate in onda nei precisi giorni in cui si stanno svolgendo i fatti narrati. Mi sforzo, pur con gli evidenti limiti della scrittura, di trasmettere al lettore anche le sensazioni olfattive, oltre che visive e uditive. L’olfatto è una componente fondamentale della memoria, a mio avviso.
Per i cognomi e per i numeri di telefono, ad esempio, mi servo di una vecchia copia dell’elenco telefonico stradale della SIP del 1965-66. Ai più giovani ricordo che la SIP è stata la società dei telefoni fino al 1994, poi rimpiazzata da Telecom. Lo “stradale” - la cui ultima edizione, se non erro, è stata realizzata nel 1972 - era distribuito insieme con i normali elenchi telefonici. In questi i nomi degli abbonati, come tutti sappiamo, sono in ordine alfabetico e completi dei relativi indirizzi e numeri di telefono. Nello “stradale”, invece, gli utenti e i relativi numeri telefonici erano in ordine di vie e numeri civici. Cercando, a titolo d’esempio, “Via Appia Nuova” si poteva risalire a tutti gli abbonati residenti in questa via, dal civico 1 in avanti…


N.: A questo punto non possiamo che augurarti “in bocca al lupo” per il tuo nuovo romanzo…
E.: E io non posso che augurarmi il rapido trapasso del proverbiale lupo! 

mercoledì 31 ottobre 2012

CHI? (1976)

Trasmissione abbinata alla Lotteria Italia in onda da domenica 3 ottobre 1976 sulla Rete 1 RAI.

     Il 6 gennaio 1975 va in onda l’ultima CANZONISSIMA.
     Come l’edizione 1973-74 - spostata dal tradizionale sabato sera alla domenica pomeriggio per via dell’Austerità che impone risparmio energetico e domeniche a piedi – lo spettacolo abbinato alla Lotteria Italia 1974-75 va in onda la domenica alle 17:30. C’è Raffaella Carrà, ma non più i balletti fastosi di Don Lurio e i cantanti in smoking e sparato bianco. I concorrenti indossano abiti da giorno o maglioni colorati, jeans e pantaloni di velluto a zampa d’elefante, poche le cravatte e ancor meno le paillettes.
     Stesso stile e stesso orario per UN COLPO DI FORTUNA, che sostituisce Canzonissima nel 1975-76.
    
     Negli anni Settanta il giallo piace. Quanto e forse più del quiz. Unendo giallo e quiz, la Rai scommette su una formula vincente. Nasce “CHI?” - innovativo giallo-quiz a cui viene abbinata la Lotteria Italia 1976-77 - affidato al binomio Mario Casacci-Alberto Ciambricco (autori del Tenente Sheridan) a cui si alternano Massimo Felisatti e Fabio Pitorru, pure loro collaudati giallisti. .
     La trasmissione si articola in due parti. La prima serve a “scaldare” i concorrenti attraverso tre giochi (uno basato su spirito di osservazione e memoria: si devono ricordare tre piccoli dettagli di altrettante fotografie mostrate per pochi istanti; uno stimola prontezza di riflessi e ragionamento perché si dovranno comporre parole con un dato numero di lettere; il terzo mette alla prova l’informazione spicciola esigendo l’identikit di un personaggio di cronaca attraverso le allusioni che Pippo Baudo si lascia sfuggire).
     La seconda parte è costituita da un telefilm di 30 minuti che si interrompe al momento culminante. I concorrenti, ciascuno chiuso in una cabina nera, lo seguono su un piccolo monitor. Poi imbucano le risposte in una cassetta provvista di segnatempo. La trasmissione termina nell’attimo di maggior suspense: si ignora chi ha ucciso e si ignora chi ha vinto! La domenica successiva, alle ore 14 viene resa nota la fine del giallo e si conosce il destino dei tre concorrenti. Per sapere chi è in testa si devono sommare i punti ottenuti da ciascuno durante le due fasi. Il vincitore viene proclamato “maglia gialla” e ha diritto a partecipare alla puntata seguente. Ogni concorrente che individua il colpevole riceve un gettone d’oro del valore di 100.000 lire per ogni punto conseguito. Il concorrente che non ha individuato il colpevole riceve un solo gettone d’oro da 100.000 lire.
     I telespettatori possono partecipare al concorso: acquistato il biglietto della Lotteria Italia, possono inviare l’apposita cartolina con il nome dell’assassino.

I DUE COMMISSARI
     Settimanalmente il telefilm ha per protagonista un commissario creato dalla fantasia dei quattro giallisti autori del programma.
    
Il commissario Serra (Alberto Lupo)
     Nei gialli di Casacci e Ciambricco indaga il commissario SERRA, impersonato da Alberto Lupo. Un inquirente svagato, antitradizionale, frivolo, anche distratto. I suoi interrogatori, alla Ionesco, deragliano dall’indagine:
“Dove si trovava ieri sera alle 19.30?”
“Al cinema”, risponde l’inquisito.
“Che film ha visto?”
“Ho visto ‘Novecento’ di Bertolucci”.
“E mi dica, mi dica, le è piaciuto? Preferisce l’interpretazione di Depardieu o di De Niro?” continua Serra che più tardi, magari proprio un’istante prima di rivelare il nome del colpevole, se ne esce con una riflessione del tipo: “Chissà perché noi poliziotti veniamo chiamati ‘piedipiatti’! Io i piedi me li sono fatti esaminare e non li ho affatto piatti”.

Il commissario Cremonesi (Nino Castelnuovo)
     
     Il commissario CREMONESI (Nino Castelnuovo), invece, è l’anima dei telefilm firmati da Felisatti e Pitorru. A differenza di Serra, Cremonesi è poliziotto tutto d’un pezzo. Quando indaga non si concede distrazioni, anche se ha la battuta pronta. E ha un tic: lancia in aria una monetina nei momenti clou e chiede al suo assistente “testa o croce?” Senza mostragli il risultato, gli dice poi “Ho vinto io”.


I TELEFILM

10/X/1976    Cronaca di un omicidio (Casacci-Ciambricco)
17/X/1976    Un covo di vipere (Felisatti-Pitorru)
24/X/1976    Chi parte non torna (Casacci-Ciambricco)
31/X/1976    Imputazione: duplice omicidio (Felisatti-Pitorru)
7/XI/1976    Un cioccolatino in più (Casacci-Ciambricco)
14/XI/1976   Reo confesso (Felisatti-Pitorru)
21/XI/1976   Caccia al testimone (Casacci-Ciambricco)
28/XI/1976   Un caso di spionaggio industriale (Felisatti-Pitorru)
5/XII/1976   Segreto per due (Casacci-Ciambricco)
12/XII/1976  Un delitto troppo perfetto (Felisatti-Pitorru)
19/XII/1976  Tutto in silenzio (Casacci-Ciambricco)
26/XII/1976  Non fidarsi è meglio (Felisatti-Pitorru)
6/I/1977     Stasera alle undici (Casacci-Ciambricco-Felisatti-Pitorru)

giovedì 18 ottobre 2012

Ho incontrato un'ombra (1974)

Dal 23 febbraio al 5 marzo 1974 sul Nazionale, la RAI propone lo sceneggiato in 4 puntate HO INCONTRATO UN'OMBRA.

   È la storia del giovane pubblicitario svizzero Philippe Dussart (Giancarlo Zanetti), nella cui vita - tutta impostata sul successo professionale e su una "privacy" meticolosamente scandita e protetta - irrompono circostanze ambigue e sconcertanti. 
   Philippe ha una relazione con la collega Catherine (Laura Belli), ma qualcosa comincia a vacillare da quando una presenza enigmatica si insinua nell'intimità dell'uomo. Qualcuno, non c'è dubbio, entra in casa sua ogni giorno, mentre lui è assente. Non un ladro, ma un ignoto che ascolta i suoi dischi preferiti, beve i suoi liquori, lascia mozziconi di sigaretta sporchi di rossetto, capelli biondi e disegni a matita. Un'ombra... Silvia (Beba Loncar), bellissima bionda apparentemente dolce, ma forse malefica, che accende in Philippe un amore anomalo, permeato dalla paura e dal sospetto.
  Chi è Silvia? Perché è piombata improvvisamente nella vita di Philippe e Catherine? Gli interrogativi si fanno sempre più pressanti, soprattutto dopo che Philippe rinviene un cadavere dietro il divano del proprio salotto e il commissario Vian (Carlo Cattaneo) si mostra piuttosto scettico dinanzi alle strane coincidenze che ruotano intorno alla vita sconvolta del giovane pubblicitario.
  Mentre Silvia nega ogni spiegazione anche a Philippe, Catherine riesce a ricostruire il passato della misteriosa bionda: è la figlia di un ex gerarca nazista, rimasto legato anche nel dopoguerra a formazioni di estrema destra coinvolte in operazioni di terrorismo politico in Germania, apparentemente morto in seguito ad un misterioso incidente aereo. 
  Philippe, con uno stratagemma, riesce ad entrare in casa di Silvia. Nella tetra villa, a detta della giovane, vivono solo lei e l'austera madre. Ma forse c'è qualcun'altro... E Philippe si trova di nuovo al cospetto di... un'ombra.

Regia: Daniele D'Anza
Sceneggiatura: Biagio Proietti

giovedì 14 giugno 2012

L'ultimo aereo per Venezia (1977)

Autori: Biagio Proietti – Daniele D’Anza
Regia: Daniele D’Anza
Interpreti: Marina Malfatti (Irene Oro), Maria Fiore (Giovanna Pieracci), Massimo Girotti (Marcello Masini), Paila Pavese (Germana Spagna), Nando Gazzolo (Roberto Cialdi),  Laura Becherelli (Ornella Cialdi), Giorgio Biavati (Avv. Martini), Renato Mori (giudice istruttore), Gianni De Luigi (Franco Zanni), Marcello Mandò (Avv. Del Monaco), Francesco Capitano (Mauro Giuliani), Gisela Hahan (Monica Baum), Arturo Dominici (onorevole), Giampiero Albertini (Gino Pozzato)
Scenografia: Elena Ricci Poccetto
Musiche: Armando Trovajoli
Canale: Rete 1 (RAI)
Nr. Puntate: 8
Data di trasmissione: dal 7 al 19 giugno 1977


La trama:
Roma, 1977. Luciano Baccarini, marito di Irene Oro, incontra Germana Spagna e se ne innamora. Decidono di fare un viaggio in Venezuela. Sabato sera, 12 settembre, Spagna giunge a casa di Baccarini e… lo trova morto, ucciso da un colpo di pistola sparato col silenziatore. La polizia indaga, la moglie e l' amante della vittima si accusano a vicenda tirando in ballo questioni finanziarie, debiti e lasciti ereditari. Irene Oro sembra avere un alibi di ferro: al momento del delitto si trovava ad una festa in casa di amici, a Venezia.
L'attore Marcello Masini e la domestica Giovanna Pieracci, inquilini del palazzo dove si è consumato il delitto, descrivono lo stesso uomo visto la sera della tragedia uscire con calma dal portone ed allontanarsi a bordo di una spider con una vistosa toppa sulla capote. Masini sostiene inoltre di aver rivisto la stessa auto la mattina dopo, parcheggiata nel settore Partenze nazionali dell'aeroporto di Fiumicino. Qualcuno l’ha lasciata lì prima di partire?



Un giallo TV fuori dagli schemi
1977: da qualche mese la Rai trasmette a colori, ma Ultimo aereo per Venezia fa ancora parte (fra gli ultimi) degli sceneggiati in bianco e nero che costituiscono le gemme forse più preziose della Tv di Stato.
È comunque un giallo TV “nuovo”, giornalistico, moderno, in linea con una società che si sta abituando a consumare in fretta anche la morte. Proprio il ’77 è uno degli anni più cruenti della decade “di piombo”: inaugura l’anno la banda di Renato Vallanzasca che il 6 febbraio uccide i componenti di un posto di blocco; il movimento studentesco degenera nella violenza con morti e feriti fra manifestanti e forze dell’ordine; i terroristi ammazzano Fulvio Croce, presidente degli avvocati di Torino, e Carlo Casalegno, direttore de “La Stampa”; vengono “gambizzati” il direttore del “Giornale” Indro Montanelli, e il direttore del TG1 Emilio Rossi; fa la propria comparsa nel il gruppo xenofobo-razzista “Ludwig”, che si scoprirà composto da due ragazzi della Verona bene, Wolfang Abel e Marco Furlan…
     Le 8 puntate – anche in questo L’ultimo aereo per Venezia stravolge il vecchio modo di fare sceneggiati – non vanno in onda a cadenza settimanale, ma due o tre per settimana, per conferire alla vicenda il ritmo incalzante del reportage giornalistico. Cronaca sceneggiata, inchiesta viva, testimonianza durante cui lo spettatore si imbatte in situazioni e personaggi direttamente o indirettamente legati al fatto (che gli autori chiamano “satelliti”), ciascuno con una propria storia che può essere la storia di chiunque, perciò quanto mai reale e sentita.
     «Seguiamo gli sviluppi delle indagini sul delitto dal di dentro, come se fossimo anche noi degli investigatori, o giornalisti – spiega Daniele D’Anza (Radiocorriere Tv, n. 23/1977, p.20) – […] è la società, il nostro mondo, che attraverso questi “satelliti” rappresenta se stessa».
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Curiosità:
     Anche se gli autori assicurano che L’ultimo aereo per Venezia è una storia totalmente inventata, da subito c’è chi vi riscontra analogie con il caso Ghiani-Fenaroli, avvenuto circa venti anni prima, per quanto “alla rovescia” (Cfr. Radiocorriere Tv, n. 24/1977, p.34).
     La prima corrispondenza che salta all’occhio, in effetti, riguarda le date: Luciano Baccarini viene ucciso la sera del 12 settembre, mentre sono circa le 10 di mattina dell’11 settembre (1958) quando Maria Teresa Viti, domestica di casa Fenaroli-Martirano, suona il campanello dell’appartamento al primo piano di via Ernesto Monaci 21, tranquilla strada nei pressi di piazza Bologna, e scopre il cadavere di Maria Martirano strangolata, come appureranno le indagini, fra le 23:30 e la mezzanotte. I sospetti cadono sul marito, il geometra Giovanni Fenaroli, titolare della società di edilizia Fenarolimpresa, che vive a Milano. Il movente potrebbe essere la una polizza sulla vita della moglie di un valore di 150 milioni di lire. Ma come la Irene Oro dello sceneggiato, Fenaroli a un alibi di ferro: al momento dell'omicidio non è a Roma, ma in ufficio in un'altra città con il ragionier Sacchi, amministratore della Fenarolimpresa.
     Per quasi due mesi non accade nulla, poi Sacchi, torchiato dalla polizia, riferisce di aver ascoltato una telefonata tra il suo principale e la moglie. Nella telefonata Fenaroli avvisava la consorte che si sarebbe recato da lei - a ritirare documenti molto delicati e compromettenti - una persona di fiducia, tale Raul. Lei dovrà aprirgli e consegnargli il materiale scottante. Il misterioso Raul è Raul Ghiani, elettrotecnico, conoscente di Fenaroli. I Il castello accusatorio, tutto indiziario, è semplice: Fenaroli ha bisogno di soldi ed incarica Ghiani di uccidere la consorte. Compenso per il killer: un milione di lire che lo stesso avrebbe trovato in casa della vittima. Il guaio - per l’accusa - è che Ghiani ha un alibi a prova di bomba, un alibi che però, incredibilmente, la polizia riuscirà a demolire, nonostante  alcuni misteri restino oscuri: ad esempio quello dei gioielli che Ghiani - per inscenare una rapina - avrebbe sottratto nella casa di via Monaci e che - nonostante perquisizioni accurate - salteranno fuori nella ditta dove il presunto killer lavorava, soltanto due anni dopo. Chi ce li ha messi per farli trovare a chi di dovere?
     Il caso Fenaroli si trasforma presto in un processo mediatico, seguito con vivo interesse da tutti gli italiani attraverso la stampa.
     L'11 giugno 1961 la Corte d'Assise di Roma condanna Fenaroli e Ghiani all'ergastolo. Ventimila persone, fuori dal tribunale, attendono la sentenza dalle 5 del mattino. Il 27 luglio 1963 la Corte d'Assise d'Appello conferma l'ergastolo.
Raul Ghiani riceverà la grazia nel 1984.
            Molti anni dopo il caso sarà studiato nuovamente perché si ipotizzerà una possibile vendetta contro Fenaroli condotta dall'Italcasse per liberarsi da un presunto ricatto. L'indagine, condotta dal giornalista Antonio Padellaro (autore del libro Non aprite agli assassini), mostrerà pure che la situazione economica di Fenaroli non era tanto disastrosa come si pensava e insisteva sul dato di fatto che Fenaroli non ha mai cercato di incassare la polizza per cui avrebbe ordinato l'omicidio. E poi, come in ogni fatto di cronaca italiana che si rispetti, entrano in ballo i servizi segreti deviati: Padellaro delinea lo scenario di una Tangentopoli ante litteram basandosi sulle rivelazioni di un ex agente del Sifar, Enrico De Grossi, nemico giurato del generale golpista Giovanni De Lorenzo (quello del Piano Solo del 1964), e sugli articoli che Giorgio Pisanò scrisse per "Il Candido". Secondo De Grossi, Fenaroli "entrò in contatto con un sottosegretario di Stato membro influente del partito di maggioranza relativa (la DC, N.d.R.). Ed è dall'ufficio di questo personaggio che un giorno egli riesce, non si sa come, a sottrarre documenti dal contenuto esplosivo".
Per la restituzione di quel dossier, con la prova che l'ascesa politica di un uomo di Stato sarebbe stata finanziata da un importante ente petrolifero, Fenaroli avrebbe ottenuto una bella somma. Un bottino insoddisfacente però per l'avida moglie, Maria Martirano, a conoscenza di tutti gli intricati affari e delle enormi difficoltà finanziarie del marito. La donna, dunque, secondo questa ipotesi, sarebbe stata uccisa non da un killer inviato dal marito che voleva incassare il premio di assicurazione, ma da uno o due agenti dei servizi deviati dello Stato che volevano impadronirsi dei compromettenti dossier…

mercoledì 6 giugno 2012

Giallo in Rai (2)


Emanuele Gagliardi
autore de La maschera

Abbiamo segnalato Nera la notte e La maschera, gialli-noir partoriti dalla fantasia di due dipendenti della Rai - Radiotelevisione Italiana che si sono aggiudicati ex aequo la II Edizione del Premio letterario NarreRai riservato ai lavoratori della Tv di Stato. Siamo riusciti a raggiungere telefonicamente uno degli autori, Emanuele Gagliardi (La maschera), il cui romanzo ci aveva incuriositi  soprattutto per l’ambientazione: i corridoi dei palazzi Rai in cui si rincorrono e si scontrano, invidie, stalking, ricatti a sfondo sessuale ed omosessuale…
  “Romano de Roma”, 42 anni, giornalista, studioso di politica internazionale e di storia orientale, Gagliardi si è intrattenuto volentieri a cordiale colloquio con NOSTALGIALLO raccontando la genesi del suo libro e complimentandosi con il nostro sito che, ha detto, «è un autentico paese dei balocchi» per chi come lui fa del vintage «un vero e proprio stile di vita» (la foto che ci ha inviato sembra confermare l’affermazione).

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NOSTALGIALLO: Come nasce l’idea di un giallo ambientato in Rai?
EMANUELE GAGLIARDI: In effetti è nata prima l’idea di scrivere un giallo, genere che apprezzo praticamente da quando ho imparato a leggere! Poi la passione per il vintage – che abbraccio in toto (musica, abbigliamento, letture…) come vero e proprio stile di vita – mi ha suggerito di collocare cronologicamente la vicenda nei primi anni Settanta, epoca a cui sono profondamente legato anche per questioni anagrafiche. Da ultimo è giunta l’idea di ambientare la storia dentro la Rai. Lavoro da tredici anni in questa azienda, per cui ho avuto gioco facile nel ricostruire le location ma anche l’atmosfera “un po’ taylorista, un po’ fantozziana”, come nota il commissario Soccodato che svolge le indagini nel mio romanzo. Credo, poi, che vi sia parecchia curiosità intorno alla Rai che non si vede in televisione…

N.: Ricatti a sfondo sessuale, mobbing, stalking… accade tutto questo in Rai?
E.G.: “Rai, di tutto di più”… ricordate il vecchio slogan? Scherzi a parte,… la vicenda del romanzo con tutte le sue implicazioni è di pura invenzione. La Rai è una realtà enorme, è una delle maggiori aziende di comunicazione d’Europa, il quinto gruppo televisivo del Continente. All’interno di un contesto così grande non è escluso che possano verificarsi fenomeni di varia natura e gravità. Però, ripeto, quanto narrato nel mio libro è del tutto fantasioso.

N.: Ci puoi riassumere in poche parole la trama del romanzo?
E.G.: È domenica 28 ottobre 1973, una giornata piovosa, fredda, vigilia dell’austerità che il governo Rumor sta per varare per far fronte alla crisi petrolifera seguita alla guerra del Kippur. In un condominio di Piazzale Clodio, a due passi dal Centro di Produzione Tv di Via Teulada, viene rinvenuto il cadavere martoriato di un funzionario Rai, addetto ai rapporti sindacali. Partono le indagini da cui si scopre che il dottor Guido Del Prà, così si chiamava la vittima, aveva simpatie extraparlamentari, maoiste per l’esattezza; conduceva un tenore di vita più elevato di quanto potesse permettergli il suo salario, collezionava preziose porcellane cinesi di provenienza non sempre legale e, last but not least, era omosessuale. Da queste circostanze si prospettano per gli inquirenti almeno tre piste: quella politica; quella del commercio illecito di opere d’arte che potrebbe sconfinare nello spionaggio, infatti Del Prà frequentava regolarmente agenti cinesi; infine quella dell’omosessualità. Credo che tanto basti: l’autore di un giallo deve agire come l’assassino, lasciare meno indizi possibili! Chi vuol saperne di più vada in libreria…

N.: Il titolo, La maschera, ha un significato preciso?
E.G.: Ho scelto il titolo per due ragioni. La prima del tutto contingente: volevo fissare un ricordo d’infanzia. La maschera mortuaria in bronzo del grande attore Ettore Petrolini vista in casa di amici di famiglia quando avevo sette anni. Un oggetto avvolto da un alone di inquietante mistero, per un bambino. Un oggetto che ha una sua parte nel romanzo…
Poi c’è l’accezione pirandelliana della maschera. Tutti i personaggi, eccezion fatta per il commissario e pochi altri, coprono meschinità, fobie, debolezze e perversioni dietro varie maschere: il manager d’assalto, le brave colleghe, il mite collezionista… Ovviamente anche questa fauna non è esclusiva della realtà Rai, ma fa parte della società di cui ogni ambiente lavorativo, più o meno marcatamente, costituisce una versione in scala.

N.: Il poliziotto che indaga e narra in prima persona, il commissario Umberto Soccodato, è in qualche modo un tuo alter ego? Ci sembra di riconoscere la foggia degli occhiali…
E.G.: Attingere all’esperienza personale, anche per quanto riguarda attitudini, sensazioni, emozioni, serve a modellare personaggi più plausibili. Anche la scelta della narrazione in prima persona è stata voluta per questo. Soccodato ha molto di me… compresi gli occhiali!

N.: Anche la passione per le peregrinazioni nei rioni storici di Roma?
E.G.: Assolutamente sì. Sono, per scelta e con vanto, un “diversamente motorizzato”… eufemismo politically correct per dire che non ho la patente e son contento! Quando ho tempo, prendo una delle mie macchine fotografiche, rigorosamente caricata con pellicola in bianco e nero, e mi tuffo per i quartieri romani a caccia di immagini, scorci, dettagli. Monti, Trastevere, ovviamente, ma pure Ostiense, San Giovanni, Centocelle… Roma non è solo Colosseo e Piazza di Spagna. Mi piace sviscerare la storia: il frammento di capitello  imperiale incastonato chissà perché nei muri di un palazzo ottocentesco; la testa levigata da venti secoli d’intemperie incastrata fra i mattoni di una torretta medievale; le buche per le elemosine, accanto ai portali delle chiese, decorate con teschi, scheletri e demoni, memento mori per spronare a far del bene finché si è in tempo… Roma è piena di piccoli e grandi misteri.

N.: In Rai, a quanto risulta dalle note in terza di copertina del tuo libro, ti occupi di archivi multimediali. Il tuo lavoro ha avuto una parte nella stesura del romanzo?
E.G.: Lavoro presso la Direzione Teche, in pratica il baule dei ricordi della Rai. Non un deposito polveroso o di saltuaria utilità, ma un vero e proprio tesoro iconico che viene recuperato e salvaguardato con moderni sistemi digitali. Parliamoci chiaro: la Rai è l’unica custode delle immagini di almeno un trentennio di storia italiana! E anche dopo l’avvento delle televisioni commerciali ha continuato ad essere testimone dell’evoluzione storica e sociale del Paese. Di certo il materiale a cui ho accesso per ragioni professionali si è rivelato insostituibile nella ricostruzione minuziosa e fedele dell’epoca narrata nel romanzo, dalle notizie di cronaca al telequiz, dalla hit-parade al varietà.

N.: Hai altri gialli «vintage» nel cassetto?
E.G.: Sì. Uno è ambientato in una località balneare della riviera romagnola nell’estate 1966, scandito dalle partite dei Mondiali d’Inghilterra prematuramente chiusisi per la Nazionale di Mondino Fabbri con la bruciante sconfitta per 1-0 ad opera della Corea del Nord. Un altro di svolge a Roma, durante il caso Moro e un altro ancora, in fase di revisione finale, si sviluppa nei giorni della nevicata del marzo 1971… Ora si tratta di riuscire a far passare questi manoscritti dal mio cassetto a quello delle evidenze di qualche casa editrice!