giovedì 31 maggio 2012

La belva che è dentro di me



James Myers Thompson (Anadarko, 27 settembre 1906 – Hollywood, 7 aprile 1977) è universalmente riconosciuto come uno degli autori più originali e significativi del genere noir. Ha scritto oltre trenta romanzi, molti tra la fine degli anni Quaranta e la metà degli anni Cinquanta.   I personaggi dei libri di Thompson sono truffatori, perdenti, psicopatici. Alcuni emarginati, altri perfettamente integrati nella società. Difficile incontrare personaggi "buoni", nei lavori di Thompson, poiché anche i più innocenti dissimulano egoismo, opportunismo e vizio. Visione nichilista, quella dell'Autore, quasi sempre espressa dalla narrazione in prima persona affiancata ad una comprensione chirurgica degli abissi della follia criminale.
            È assodato che Jim Thompson trasfonde nei suoi personaggi le proprie ossessioni e le proprie fobie, ancorché estremizzate. Si divertiva a raccontare di esser nato in prigione, ad Anadarko (Oklahoma). In realtà la prigione si trovava sotto l’appartamento in cui abitava con la famiglia l’ingombrante padre di Jim, James Sherman “Big Jim” Thompson, sceriffo della Contea di Caddo. Se riguardo alla propria nascita Thompson aveva inventato una facezia, non è del tutto inesatto dire che in “prigione”, in un modo o nell’altro, egli abbia trascorso l’intera esistenza. Dopo un’infanzia ed un’adolescenza avventurose, infatti, si arrabatta facendo di tutto: caddie, redattore di giornali e riviste locali, attore di burlesque, fattorino d’hotel, tuttofare in una bisca, trivellatore nei pozzi di petrolio (origine di benessere e fallimento delle fortune del padre), dinamitardo, e persino contrabbandiere d’alcool. Infine scrittore, continuando a dibattersi, pure attraverso la penna, fra le maglie dei suoi incubi, fino al 1977, allorché, consumato dall’alcool, dall’insuccesso e da una malattia che l’ha reso incapace di scrivere, s’è lasciato morire, rifiutando di nutrirsi.

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La belva ch è dentro di me
(pubblicato l’8 marzo 1970 nella collana settimanale Il giallo Mondadori – n. 1101), uscito nel 1952 (titolo originale: The Killer Inside Me), è il romanzo a cui Thompson deve la fama. Una discesa angosciante nella mente criminale, contrappuntata dalla vena umoristico-satirica di Thompson che conoscerà la sua massima espressione nel capolavoro Colpo di spugna (1964). Nel 2010, dal romanzo è stato tratto un film (The Killer Inside Me) per la regia di Michael Winterbottom, interpretato da Casey Affleck, Jessica Alba e Kate Hudson.

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La trama:
            Lou Ford è vicesceriffo nella piccola e anonima contea del Texas dove è nato e cresciuto. Figlio di uno stimato medico, negli anni ha avuto occasione di mostrarsi a colleghi e concittadini come uomo retto e gentile, comprensivo ancorché fermo nell’adempimento del proprio lavoro. Noioso, in effetti, ma benvoluto dalla comunità. Una maschera di perbenismo yankee che cela il vero volto di Lou: maniaco, depresso, schizoide, autore di colossali ingiustizie e omicidi di inaudita crudeltà. Già la scelta di un poliziotto-killer rivela l’originalità di Thompson: la coincidenza tra tutori dell'ordine e criminali, oggi quasi uno stereotipo letterario e cinematografico, nell’America del 1952 è un vero e proprio scandalo.
            Lou Ford spende il proprio tempo libero infierendo su gente inerme, scannando le occasionali compagne che sperano di sposarlo, togliendo di mezzo chiunque cerchi di intralciare il suo cammino verso qualcosa che neanche lui sa individuare. È cosciente di essere “malato”, di covare la brama per una libertà assoluta che è stata e continua ad essere tarpata, si evince tra le righe, dalla figura paterna il cui spettro aleggia nello studio pieno di libri polverosi, pubblicazioni scientifiche, strumenti e medicinali - di cui Lou si serve pure per drogare una delle sue vittime – ove spesso si rifugia. E proprio fra le pagine ingiallite di un libro di medicina appartenuto al padre, Lou trova una fotografia che potrebbe spiegare l’origine delle sue pulsioni abiette che lo travolgono con il desiderio parossistico di schiacciare, umiliare e annientare il prossimo. Meglio se indifeso e emarginato dalla società (la prostituta, il barbone, il bravo figliolo del commerciante messicano…). L’impulso è più forte di lui, non può farci niente. E, forse, nemmeno ha voglia di porsi il problema: è la sua natura! “Un’erbaccia – afferma - è una pianta fuori del proprio elemento”. Come un rampicante che cresce spontaneo, la follia di Lou, si avvinghia ai tronchi e agli arbusti vicini, soffocandoli mentre si protende nel disperato tentativo di vedere cosa c’è più in alto, di incontrare finalmente il sole. Senza rendersi conto, però, che è già notte…
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Citazione:
«Se il buon Dio ha commesso un errore, con noi esseri umani, è quello di farci desiderare di vivere anche quando abbiamo ben poche scuse per farlo…»
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Osservazioni:
Al di là della vicenda, che incolla il lettore dalla prima all’ultima pagina, la penna di Thompson riesce a comunicare con tutti i sensi del lettore. Così, mentre la mente costruisce in progressione filmica le icone degli eventi, pare che all’orecchio giungano, da una radio accesa negli anni Cinquanta, le voci di Hank Williams e di Merril Moore, il rumore dei pozzi di trivellazione, il rombo d’un pickup Chevrolet per strade polverose e riarse o quello di un Super Constellation che solca un cielo di fuoco contro cui non è difficile immaginare il rincorrersi bianco-rosso-blu del vessillo a stelle e strisce agitato dal vento. L’olfatto, intanto, è sollecitato dall’aroma del chili, dal cocktail di cuoio da guantoni da baseball e benzina Shell che evoca l’epoca almeno quanto I Get a Kick Out of You cantata da Frank Sinatra…

martedì 29 maggio 2012

Il terzo invitato (1977)

         Giallo, noir, mistero e fantascienza, sono fra gli ingredienti principali dei grandi sceneggiati (originali o riadattati da opera letteraria) trasmessi dalla Rai negli anni Sessanta e, soprattutto, Settanta. Fra i meno ricordati (anche perché replicato una sola volta nel 1989 e in orario antimeridiano), ma non per questo meno avvincente e ben realizzato di altri titoli, c’è Il terzo invitato, originale televisivo in 4 puntate di Vittorio Barino e Franco Enna, prodotto dalla T.S.I. (Tv Svizzera Italiana) e trasmesso settimanalmente dalla Rete 1 dal 30 agosto al 20 settembre 1977.
            La regia è di Vittorio Barino. Tra gli attori: Mario Carotenuto (Carlo Reddel), Adriana Vianello (Herta Reddel), Gianna Fioravanti (Sara Reddel), Vittorio Quadrelli (Gerhard Reddel), Gino Lavagetto (Luciano Venier), Osvaldo Ruggieri (Renato Varzi), Delia Boccardo (Lorenza Varzi), Mario Rovati (capo della polizia), Gianni Mantesi (delegato di polizia), Diego Gaffuri, Roberto Colombo, Cleto Cremonesi, Pino Romano (i poliziotti), Gianfranco Cifali (Antonio Villeri), Emilio Garavelli (Ben Higgins), Giorgio Modena (Lucien Artet), Franco Moraldi (Eugenio Boschero).



Il delegato (Gianni Mantesi)




Carlo Reddel (Mario Carotenuto)
 



















«Quattro puntate a colori per risolvere il mistero di una strage.
Tra cronaca e feuilleton dietro la facciata delle ville sul Lago di Lugano»


sintetizza Guido Boursier sul Radiocorriere (n.35/1977, pp. 12-13), ponendo particolare enfasi sulla produzione “a colori”, di fatto ancora in fasce. Le trasmissioni Rai a colori, infatti, sono partite ufficialmente il 1 febbraio 1976.


La trama:

            Poche immagini ed è subito strage. Un sicario si introduce in una villa sul Lago di Lugano e a colpi di 44 Magnum fredda il padrone di casa, un industriale italiano, e due suoi ospiti (uno americano, l’altro francese) che sedevano a tavola in attesa di un quarto commensale ritardatario.

            Vittorio Barino, regista e coautore con il giallista Enna, racconta che «il finale è a sorpresa, tanto a sorpresa che nemmeno noi sapevamo come cavarcela». In effetti dal copione del regista, si legge nella presentazione di Boursier sul Radiocorriere, manca la conclusione che sarà risolta quasi  «a braccio». Un ricchissimo collezionista di gioielli «maledetti», un medico sornione, una signora che sa troppo, una giovane vedova che sembra immacolata ma forse è perfida, un fotoreporter che picchia e spara… ciascuno potrebbe essere dietro al killer con la 44, l’unico, in effetti, che agisce in maniera diretta, senza ambiguità.

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 puntata – martedì 30 agosto 1977

            Nella sua villa di Lugano, l’industriale Eugenio Boschero attende, insieme con due convitati, l’arrivo di un “terzo invitato”. A sorpresa entra un killer che uccide i tre uomini, mentre il cameriere riesce a fuggire e ad avvertire la polizia. Il triplice omicidio sembra avere un comune denominatore: tutti gli uccisi erano importanti collezionisti di gioielli e in particolare di gioielli per cui in passato era stato commesso un altro delitto. Contemporaneamente rientra a Lugano, dopo anni di assenza, il fotoreporter Renato Varzi deciso a far luce sulla fine del fratello, morto in seguito a uno strano incidente d’auto mentre lavorava alle dipendenze di Carlo Reddel, un altro ricco collezionista di pietre preziosi, presso cui lavora anche la vedova di Varzi come segretaria. Renato entra in contatto con la cognata e le espone i suoi dubbi sulla morte del fratello…
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2ª puntata – martedì  6 settembre 1977

            Renato Varzi ha fissato un appuntamento con la cognata, ma la sua telefonata è stata intercettata e il giovane fotoreporter viene inseguito da due loschi figuri, rapito e condotto in una fabbrica abbandonata. Renato è convinto di dover parlare con Reddel, ma quando lo incontra si rende conto che non si tratta del ricco uomo d’affari. Riesce a fuggire dal logo del sequestro dopo aver ferito gravemente uno dei suoi rapitori. Nel frattempo la polizia è giunta a casa di Reddel per chiedergli informazioni sui preziosi connessi al triplice omicidio. Reddel dichiara di non sapere alcunché. Renato, lievemente ferito, si rifugia a Villa Reddel presso la cognata…

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3ª puntata – martedì 13 settembre 1977

            Il cerchio si stringe: il cameriere che aveva assistito alla strage di Villa Boschero e che aveva tentato di ricattare i Reddel viene strangolato dall’assassino mascherato. La polizia acquisisce interessanti informazioni da un collezionista di gioielli inglese a cui era stata trafugata la parure di diamanti trovati in casa Boschero la sera del delitto. Sera in cui si sarebbe dovuta svolgere un’asta per assegnare la parure ad uno dei quattro. Reddel era proprio il terzo invitato ma, sofferente di angina pectoris, un collasso gli aveva impedito di andare all’appuntamento. Lorenza e Renato interrogano Reddel che spiega di essere interessato all’acquisto della parure ma di essere estraneo ai delitti. Di nuovo la polizia arriva da Reddel per perquisire la casa ma…
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4ª puntata – martedì 20 settembre 1977
                         L’assassino mascherato colpisce ancora: la vittima – colpo di scena – è proprio Reddel. Un colpo solo, dritto al cuore. Il killer fugge, ma viene braccato. Dopo una colluttazione con Renato, in giardino viene circondato e ucciso. Finalmente se ne scopre l’identità: un pregiudicato di nome Meyer. Resta ancora ignoto, però, il mandante. La polizia seguita ad indagare e sta per far scattare la trappola. Mette a confronto la neovedova Reddel e il suo amante, il dottor Venier, medico di famiglia



lunedì 28 maggio 2012

Progetto 7 (1970)

   Un'altro giallo in Italia, ancorché non un giallo all'italiana. L'autore è Alan Nixon, classe 1937, giornalista e corrispondente di varie testate in diversi paesi del Mediterraneo. Buon conoscitore dell'Italia, vive a Torino, città natale di sua moglie.
   La vicenda narrata in Progetto 7 (uscito nel 1972 come n. 9 dei Gialli Garzanti) si svolge nel 1970, quasi totalmente in una Roma tardoprimaverile, torrida e indifferente, singolare territorio di battaglia fra la corporation criminale guidata da Julian Rilke ("l'uomo che si muove solo per colpi da almeno nove zeri") e l'Interpol.
  Rilke si serve di Elena Mitalinos, affascinante quarantenne cipriota, e di sua "figlia" Vera, sadica e perversa dietro la maschera di ragazza dall'aria pulita, per truffare l'attempato banchiere romano Ettore Zanon, direttore del Credito Trasteverino, il vanesio politicante Benasco e il depresso albergatore Oreste Merlo, proprietario dell'Hotel Diplomat, con un falso furto di gioielli per oltre 2 miliardi e mezzo di lire.
  I "buoni", che romperanno le uova nel paniere a Rilke, sono l'agente inglese Maver, che avrà la sfortuna di capitare nelle grinfie di Vera che lo stordisce, lo denuda, lo cosparge di marmellata e lo lascia in una stanza chiusa in balia di uno sciame di vespe, e il poliziotto italiano Caligaris, tifoso della Lazio che sta per retrocedere in serie B (campionato 1970-71).
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  La trama è originale e avvincente, la scrittura di Nixon scorrevole. Emergono però, di tanto in tanto, alcuni stereotipi sull'Italia che non ci si aspetterebbe da un autore legato da un sì duraturo rapporto con il nostro Paese: politici e commercianti intrallazzoni le cui fortune dipendono dall'essere più o meno nelle grazie di cardinali o alti prelati..., taxisti che chiedono tariffe esorbitanti,... traffico automobilistico caotico e scomposto,... elementi della nobiltà romana fatui e nullafacenti...
  Inoltre Nixon fa un po' di confusione riguardo ai contestatori che in quegli anni postsessantottini imperversavano anche fra le strade della Capitale. Parla, infatti, di «maoisti seminudi» riferendosi probabilmente più agli hippies, ai figli dei fiori che bivaccavano in pianta stabile soprattutto sulla scalinata di Trinità de'Monti, a Piazza Navona, a Campo de' fiori o a piazza Santa Maria in Trastevere. Per contro, coloro che si ispiravano al Grande Timoniere - assurto, insieme a Che Guevara, ad icona della contestazione totale, dopo che Stalin era stato sconfessato dai suoi stessi epigoni e l'URSS veniva vista tutto sommato come la versione socialista dell'imperialismo USA - si distinguevano per una (almeno apparente) rigida moralità. Il sesso, infatti, era tabù nella Cina di Mao, ove 700 milioni di uomini e donne vivevano caste esistenze tutte tese al lavoro, alla produzione e alla glorificazione del Partito Comunista e del suo leader.
  Roma è il teatro della narrazione, ma praticamente quasi mai vengono citati luoghi precisi, quartieri, vie, piazze. Si parla en passant del bar Doney di via Veneto, forse per dare un tocco di "dolce vita", e c'è l'Hotel Diplomat, dove alloggiano Elena Mitalinos e Vera, di cui però non viene indicata l'ubicazione. Esiste realmente un Hotel Diplomat a via Vittoria Colonna, ma nulla può confermarci che sia quello descritto da Nixon che, probabilmente, ha scelto un nome piuttosto comune per un hotel (del tipo: Garden, Eden,...). L'assenza di descrizioni di luoghi, atmosfere, colori, a nostro avviso, rende la narrazione un po' troppo scarna. E se ciò, da un lato, va a vantaggio della scorrevolezza e della velocità, dall'altro lascia l'impressione che l'Autore avrebbe potuto giocarsi meglio una location inusuale per un giallo qual'è, appunto, Roma.

venerdì 25 maggio 2012

Er macellaretto

   Le nostre nostalgie in giallo volano sulle ali della memoria perlopiù fra gli Sessanta e Settanta. Oggi, però, andiamo molto più indietro, addirittura a fine Ottocento, per ricordare una figura unica entrata nell'immaginario della Roma popolare di allora al punto da comparire in uno stornello della mala capitolina di cui riproponiamo una sequenza nell'interpretazione di Claudio Villa (1974)


   Er macellaretto, per la cui morte violenta lo stornello invita a rallegrarsi, era il poliziotto Domenico Marcellini, incubo e spauracchio della malavita romana che, per la cronaca, non fu ammazzato ma morì di malattia nel 1910.
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   Sul sito I CADUTI DELLA POLIZIA DI STATO (http://www.cadutipolizia.it/maxgay/ermacellareto.asp) Massimo Gay (Sovrintendente di P.S. - Archivio Storico) racconta la storia di questo eroe popolare:

Fino ai 18 anni egli aveva fatto il macellaio (da cui il suo soprannome), poi si arruolò nella Guardia di  Finanza imbarcandosi su una nave sul lago di Garda, dove si distinse subito contro i contrabbandieri.
Tornato a Roma, congedato, si rimise a fare il macellaio. Nel 1890, non si sa se gli affari non andassero o avesse nostalgia dell’azione contro i malviventi, fatto sta che si arruolò nella P.S., appena riformata, e venne destinato alla 1^ Brigata Investigativa della capitale che effettuava servizio in  borghese.
Si mise in evidenza da subito mentre tornava dal palazzo della Prefettura, dove pochi minuti prima era stato arruolato, quando venne invitato a puntare su le “tre carte”; consegnò la posta, poi chinatosi raccolse le carte invitando i truffatori a seguirlo in Questura.
La sua storia è costellata di episodi, imprese notturne per i vicoli di Roma, a volte anche simpatici.
Una volta Oreste Mazzacani ammazzò, in via dell’Orso, con sette coltellate un ragazzo, figlio di un tranviere, che non aveva voluto pagargli un caffè. L’omicida si era rifugiato in un bordello e il Marcellini lo andò a cercare, entrato nella sala comune lo riconobbe, ma questi riconobbe lui e saltò dalla finestra, senza esitare il poliziotto lo seguì piombando in un cortile di un’osteria, battendo un piede nella caduta provocandosi una contusione dolorosissima, nonostante ciò afferrò l’omicida  tenendolo contro un muro in attesa dei “colleghi”. In primo grado l’accoltellatore prese 22 anni di reclusione.
Un’altra volta un famoso accoltellatore si trovava nascosto in una casa di trastevere, il Marcellini lo seppe e ci andò da solo. Bussato alla porta una voce all’interno domandò: “Chi è, che volete” e l’altro calmo: “Sò er macellaretto”, dopo un mormorio un’altra voce disse: “Hai portato l’amici?” (le guardie) “macchè amici pé ‘tte abbasto da solo, sbrigate a scenne giù si nò sfascio la porta”. Dopo qualche secondo di silenzio  la porta si aprì e il malvivente uscì presentando i polsi incrociati dicendo: “ Vengo perché sei solo,  si tu c’iavevi l’amici, quarcuno ne puncicavo”.
Le retate notturne erano la sua specialità, fiutava i pregiudicati a cento metri di distanza, “come un cane fiuta la selvaggina”. Durante la ronda ad un tratto si allontanava in direzione dei vicoli, raccomandando alle guardie di stare attenti al fischietto. Poco dopo, infatti, nel silenzio della notte si sentivano voci concitate e dopo un fischio. Accorrevano e trovavano il Marcellini che teneva stretti per il collo  due individui mentre altri tentavano di liberarli, e si finiva tutti alle camere di sicurezza.
Altre volte stava ad origliare alla porta di un’osteria dove sembrava tutto silenzio, e avvalendosi di una leva, forzava la porta entrando in un ambiente oscuro, qui vi trovava alcuni pregiudicati ai quali mostrando il pugno nerboruto diceva: “chi se move l’acciacco come un rospo”. Iniziava la perquisizione, con l’ausilio delle altre guardie,  e conoscendoli tutti per nome, mentre li perquisiva domandava loro notizie della famiglia, del fratello pregiudicato, del padre in galera, sequestrando rasoi, coltelli, trincetti e grimaldelli. Talvolta non trovando nulla addosso ai perquisiti diceva: “Ahò, perché me fate perde tempo”. Poi cominciava a tastare i mattoni del pavimento  che potevano celare un ripostiglio, alla fine rivoltando un tavolo o un banchetto esclamava: “allora li cortelli stanno qua!”, infatti vi si trovavano infissi 5 o 6 “mollette” (coltelli a scatto di circa 25 cm) e si ripeteva la sfilata alle patrie galere.
Era un fisionomista eccezionale, tant’è che una volta riconobbe in via dei serpenti, fra un gruppo di brutti ceffi, un pregiudicato colpito da mandato di cattura. Sebbene fosse solo, li affrontò facendo affidamento solo sulla sua prestanza fisica. Afferrò il malandrino per la giacca, mentre gli altri gli si facevano intorno ed uno di questi, tirato fuori il coltello, gli vibrò un fendente al basso ventre che lacerò i pantaloni, per difendersi lasciò l’arrestato che nella concitazione scappò. Estratta la rivoltella il Marcellini reagì sparando alla gola all’assalitore e portandolo all’ospedale, undici giorni dopo era guarito.
Caio Antenni, pregiudicato del rione Ponte, dopo aver regalato due coltellate al solito “amico”, si era rifugiato nei pressi di Fiumicino. Sconosciuto alla popolazione se ne andava in giro liberamente sotto il naso dei Carabinieri, la sera si rifugiava nella capanna di tale Ciccutello. Una notte bussarono alla capanna: “Ciccut’, apri” e questi credendo fosse un amico, aprì. Svegliato dal rumore l’Antenni riconobbe subito “er macellaretto” dicendo: “siete voi sor Domè?” e l’altro: “so io, annamo!”.
In un’altra occasione dopo aver osservato, alla stazione dei treni a vapore diretti a  Tivoli, il modo di portare sul braccio il soprabito e di come si avvicinava alle persone, fermò un elegantissimo signore straniero che si qualificò per giornalista francese. Dopo pochi giorni si seppe che era un famoso ladro internazionale e assassino a scopo di furto.
Un’altra sua qualità era la tenacia, non mollava mai. Quando in via dei Prefetti venne effettuato un furto di centomila lire presso la casa di una ricca signora, i giornali parlarono a lungo dei “soliti ignoti”. Ma il Marcellini travestitosi da frate, con una lunga barba bianca, entrò in una casa in costruzione in viale Parioli e fra un gruppo di uomini individuò tale Capobianchi. Questi lo guardò e riconosciutolo esclamò: “ te ce sei vestito puro da frate” e lo seguì in Questura. Al completamento delle indagini mancava però la refurtiva, e questa volta egli temette di aver preso un granchio, apprese per caso che il detenuto rifiutava il cibo ed ebbe la certezza che fosse stato lui: “Ha l’impianto!” l’impianto in gergo era un tubetto d’argento che nascondeva la refurtiva e veniva riposto…. ove il tacere è bello.
Egli, allora, si fece chiudere in cella con l’arrestato, “ar coeli” (Regina Coeli) e gli tenne compagnia per due giorni, sorvegliandolo di ora in ora. Al terzo giorno di digiuno confessò e venne fuori pure il “cannelletto”, tutto ossidato, che conteneva parte della refurtiva.
Più volte encomiato e gratificato Domenico Marcellini, all’epoca sottobrigadiere delle Guardie di Città, matricola n. 58, fu pure insignito nel 1902 di  medaglia di bronzo al Valor Militare, in occasione dell’intervento e l’arresto del portiere della casa del principe Massimo, il quale impazzito improvvisamente sparava bombe nell’atrio del palazzo in corso Vittorio Emanuele, tirando revolverate sulla folla accorsa e incuriosita. Il poliziotto, disarmato, si gettò tra la polvere e i calcinacci mentre veniva fatto segno da una revolverata che gli bucava la falda del cappello e gli procurava una leggera ferita alla fronte. Raggiunto lo sparatore ingaggiava una colluttazione atterrandolo con una ginocchiata al basso ventre.
Nel 1908 amareggiato per una mancata promozione, si allontanò temporaneamente dalla Polizia, andando a fare il capo sorvegliante nella tenuta, a S. Benedetto dé Marsi, del principe Torlonia.
Poi un giorno si ammalò, ed a nulla valsero le visite e le cure mediche che gli furono procurate dal senatore Annaratone che si adoperò affinché guarisse. Il 12 settembre 1910 ebbero luogo a Roma i funerali del maresciallo Marcellini, e come era usanza all’epoca il carro funebre, seguito da parenti, autorità, amici, e due plotoni di Carabinieri e di Guardie di Città in alta uniforme, fece sosta alla Dogana di Termini per effettuare le orazioni funebri. Ecco la parte finale dell’ultima: “Commilitoni del povero morto, che qui siete convenuti a rendergli gli estremi onori, non vi turbi l’anima alcun sospetto: Domenico Marcellini fu umile eroe; egli merita la stima e la riconoscenza di tutti gli onesti.
Presentate le armi alla sua Salma!”
Lasciò i familiari, senza il sostegno dello stipendio né della pensione, quasi alla miseria. Fortunatamente su interessamento di qualche filantropo due suoi figli poterono essere inseriti in collegio.
Fu inumato a Roma al cimitero del “Verano”.


mercoledì 23 maggio 2012

Nessun altro saprà (1978) (Tit.orig.: Tango November-1976)



  Le rotte aeree per la Sicilia non sono fra le più fortunate. Il 5 maggio 1972 il volo Alitalia 112 (Douglas DC-8 - I-DIWB), in fase di atterraggio verso l'Aeroporto di Palermo-Punta Raisi, si schianta contro Montagna Longa, tra Cinisi e Carini, in provincia di Palermo: 115 morti. Il 23 dicembre 1978 il volo Alitalia 4128 (Douglas DC-9-32 - I-DIKQ) impatta sul mare circa 3 km a Nord di Palermo, mentre è nella fase di avvicinamento finale alla pista di atterraggio: 124 morti, 21 superstiti. Il 27 giugno 1980 il volo Itavia 870 (Douglas DC-9,- I-TIGI) in rotta da Bologna a Palermo si squarcia in volo nel cielo tra le isole di Ustica e Ponza e scompare in mare: 81 vittime... 


  Comincia con un incidente aereo in Sicilia anche il n. 154 dei Gialli Garzanti, pubblicato nell'ottobre 1978, Nessun altro saprà di John Howlett, sceneggiatore del film If  (regia di Lindsay Anderson. In Italia: Che?).  Un grosso aereo di linea si schianta sulle pendici dell'Etna. Quasi tutti i passeggeri muoiono e si apre un'inchiesta. L'aeromobile era di fabbricazione americana, la compagnia inglese e l'aeroporto di destinazione italiano. Tre commissioni, dunque, ciascuna con propri interessi da tutelare e magagne da insabbiare.
  Chi era la donna morta nella cabina di pilotaggio? Una dirottatrice, e allora il disastro avrebbe una sua giustificazione. Ma Citto Risarda - giornalista, piccolo, grasso, miope e balbuziente, dal disastro di Punta Raisi del '72 esperto non ufficiale delle deficienze degli aeroporti italiani - e Sharlie Barzizza, paparazzo di origine siciliana, non la pensano così...
***
  «Tango November era un 119 di fabbricazione americana, un modello dalla coda a T con i tre motori raggruppati nella parte posteriore, simile per forma e dimensioni al Boeing 727, e nella sagoma a un Tupolev 154...»
  «Il volo GC 523 iniziò il rullaggio di preparazione al decollo all'una e venticinque: 9 membri dell'equipaggio e 181 passeggeri...»
  «Erano circa le cinque e mezzo (due ore in più dell'ora media di Greenwich) di un mattino freddo e umido, il 119 era in assetto di atterraggio, elegantemente seduto sulla coda. Fino a quel momento aveva fatto una manovra di avvicinamento perfettamente normale: i lampeggi verde-rosso-verde delle luci di segnalazione erano visibili a terra negli angoli dove la nube si diradava; il loro riflesso andava scomparendo dal lontano schermo radar mentre l'aereo scendeva sotto il profilo delle colline; i turbogetti da sette tonnellate ruggivano sopra un villaggio addormentato. Ma per gli ultimi minuti di molte vite umane era già cominciato il conto alla rovescia. L'indomani il 119, il Tango November, avrebbe occupato con titoli di scatola le prime pagine dei giornali di tutto il mondo...»



Curiosità:


McDonnel 119

  Il modello di velivolo descritto da John Howlett sembra essere di fantasia. Aerei trireattori simili al Boeing 727, infatti, sono solo il Tupolev Tu-154 (come l'Autore stesso specifica) e l' Hawker Siddeley Trident.  È esistito in effetti un 119, ma si trattava di un quadrigetto, costruito in un unico esemplare dalla McDonnel nel 1959, destinato a voli VIP. Il McDonnell 119, infatti, poteva trasportare 10 passeggeri in configurazione extralusso e comunque non oltre 26.


 
 


Boeing 727
 
Hawker Siddeley Trident


Tupolev Tu-154




martedì 22 maggio 2012

La traccia verde (1975)




Cominciamo la retrospettiva gialla con uno sceneggiato televisivo trasmesso dalla RAI in 3 puntate dal 21/XII/1975 al 4/I/1976. Un giallo alla clorofilla, come efficacemente veniva presentato da Salvatore Bianco sul n. 52/1975 del Radicorriere Tv (pp.32-33)

Thomas Norton (Sergio Fantoni), ricercatore di Los Angeles che ha costruito la macchina della verità, è al centro di una polemica dopo la morte di Edward Steptoe (Antonio Pierfederici), cassiere di banca accusato di aver sottratto denaro dal conto di un cliente, suicidatosi dopo esser stato sottoposto al giudizio della macchina di Norton.
Deciso a volgere le sue ricerche al campo della botanica, Norton invita la signora Flora Sills (Lilla Brignone), appassionata cultrice di piante, ad assistere ad alcuni esperimenti nel suo laboratorio dove la sventurata viene trovata uccisa davanti ad una pianta. Si cerca il movente di questo assassinio e si scopre che Flora possedeva una somma rilevante, ricavata dalla vendita di una fabbrica di acque minerali, probabilmente investita in diamanti che vengono ricercati inutilmente nel suo appartamento. Durante le indagini Norton comincia a provare un tenero interesse per Margaret (Paola Pitagora), l' amica di John Ginsberg (Paolo Malco), un suo collaboratore. Per sfuggire agli assalti dei giornalisti, dietro suggerimento di Margaret, Norton pernotta nell'appartamento di Flora ma viene aggredito da sconosciuti che devastano la serra. Norton riesce a dimostrare che le cellule vegetali hanno un sistema per captare la morte di altre cellule e alla fine sarà proprio una piccola dracena, testimone "oculare" del delitto, ad inchiodare l'assassino.