martedì 3 giugno 2014

IL REX: NASCITA E FINE DI UN SOGNO ITALIANO - Intervista con Daniele Cambiaso



Ombre sul Rex, il romanzo di Daniele Cambiaso che abbiamo presentato nel precedente post ha il raro pregio di conglobare in felice proporzione la vicenda di fantasia, in cui agiscono personaggi sapientemente ritratti, con precisi riferimenti storici. Ciò ne fa un libro assolutamente originale ed appetibile per palati ghiotti di nostalgia.
Abbiamo chiesto all'Autore di raccontarci qualcosa di sé e della gestazione del suo godibilissmo romanzo:

NOSTALGIALLO: Caro Daniele,ci diresti in breve chi sei e cosa fai nella vita?
D.C.: Sono un insegnante di Lettere della scuola secondaria di primo grado, a giugno compirò 45 anni e del mio segno zodiacale, i Gemelli, posseggo molte caratteristiche: curiosità, vivacità, una certa incostanza e tendenza al disordine (visto dall’esterno! Io mi oriento benissimo…) nonché la tendenza a fantasticare. Vivo a Genova con mia moglie e mia figlia. La lettura è la mia grandissima passione, che mi accompagna fin dall’infanzia, per cui sono il cliente ideale delle librerie dove capito: non esco mai a mani vuote! Oltre ai classici, su cui mi sono formato, amo molto la narrativa italiana e, in particolare, la cosiddetta narrativa di tensione, che credo sappia raccontare con efficacia i lati più oscuri della nostra società.

N.: Quando e come ti si è rivelata la vocazione dello scrittore?
D.C.: È maturata progressivamente. Come dicevo, ho sempre amato i libri e mi sono accostato al mondo degli scrittori curando recensioni e collaborando con qualche web magazine. Questo mi ha portato a conoscere diversi autori e a stringere, in alcuni casi, rapporti di autentica amicizia. Fidandosi – bontà loro – del mio giudizio, mi facevano leggere in anteprima alcune loro opere mentre le scrivevano, così, per esempio, mi è capitato di assistere alla nascita di alcuni tra i migliori romanzi di Leonardo Gori, il che, per me, è stato un po’ come andare “a bottega” da Maestri d’eccezione. Fino a quel punto, comunque, mi consideravo un lettore privilegiato. A un certo punto, però, uno di loro, Angelo Marenzana, pensò bene di coinvolgermi in un’antologia di racconti di ambientazione storica. La faccenda mi sfuggì totalmente di mano e scrissi praticamente di getto un testo di 120.000 battute. L’occasione del racconto, ovviamente, sfumò, ma Angelo mi incoraggiò a farne un romanzo. Stava prendendo forma Ombre sul Rex.

N.:Ora focalizziamo l'attenzione sul tuo libro. Perché il Rex?
D.C.: Perché il Rex è un'icona, il simbolo di un'epoca, con le sue luci e le sue ombre. Ed è un'autentica leggenda del mare. La conquista del Nastro Azzurro è uno dei successi più prestigiosi della nostra Marina e, per i genovesi che ne conservano la memoria, è anche un vanto, essendo stato progettato, costruito e varato nei cantieri dell’Ansaldo di Sestri Ponente. Di recente, tra l’altro, proprio qui a Genova è stata organizzata una mostra per celebrare il settantesimo anniversario della grande impresa compiuta dal Comandante Tarabotto. Per me, poi, c’è stata la forte spinta di un fattore familiare: mio nonno era un tecnico dell’Ufficio Tracciati dell’Ansaldo ed è stato uno dei progettisti del Rex; in particolar modo si occupò della scritta, che è stata anche l’unica parte che si è salvata dalla distruzione alla fine della guerra. I suoi racconti, per me, sono stati una molla determinante

N.:Su quali basi hai costruito la storia del romanzo?
D.C.: Oltre a raccontare la nascita del Rex, ero interessato a esplorare i percorsi individuali all’interno degli ingranaggi del consenso e della repressione creati dal fascismo. L’ottima saggistica che esiste sull’Ovra e sul regime ha portato alla luce moltissimi aspetti, però chi fossero, come vivessero, cosa pensassero gli uomini che quotidianamente permettevano al regime di andare avanti possiamo solo immaginarlo. Ed è qui, forse, che il romanzo storico può permetterci di provare a formulare ipotesi, andando a incrociare gli eventi storici di grande portata con le microstorie individuali. Ecco, quindi, nascere Igino Menchini, il vicecommissario della Polizia Politica che svolge le indagini nel mio romanzo.
In più, mi interessava provare a mettere in scena le dinamiche del potere anche per quanto concerne la manipolazione delle notizie e della “verità”: se in un regime come quello fascista, il gioco risulta abbastanza scoperto, mentre nelle democrazie appare più sottile e inquietante, ed è a questo aspetto che fa riferimento il misterioso uomo col Borsalino bianco che compare nella Genova del 1931 nell’imminenza del varo, seminando scompiglio e qualche cadavere di troppo. Tutto il resto, ruota attorno a questi due poli e all’imponente sagoma del Rex in costruzione.

N.: È stato difficile ricostruire un’epoca di cui, per ovvie ragioni anagrafiche, hai una conoscenza solo indiretta?
D.C.:Una sfida difficile, sì, ma estremamente affascinante. Calarsi in un’epoca, in un mondo totalmente differenti è stato, alla fine, soprattutto divertente. Ho utilizzato moltissimo i quotidiani dell’epoca: oltre a innumerevoli dettagli apparentemente secondari sulla quotidianità genovese di quei giorni, mi hanno fornito delle notizie che si sono incastrate alla perfezione nella costruzione del mio romanzo. Ad esempio, l’incendio di un magazzino di pellicole cinematografiche, realmente avvenuto nei giorni del varo in un palazzo della centralissima via XX Settembre, è diventato una delle scene di maggiore drammaticità della mia storia, così come i resoconti dell’inaugurazione, che mi sono studiato con un’attenzione maniacale. L’aspetto più entusiasmante, però, è stato reperire una guida per turisti del 1931. Tutto, dagli orari dei negozi ai percorsi delle linee dei trasporti pubblici, era lì, sotto ai miei occhi, pronto per tornare a rivivere dentro un romanzo. Esaltante, lo dico sinceramente...

N.: Mentre approfondivi la vicenda della costruzione e del varo del transatlantico cosa ti ha più colpito?
D.C.: L’aspetto che maggiormente mi ha colpito è stato rendermi conto, attraverso la lettura di interviste e resoconti di varia natura, del forte senso di orgoglio professionale che una simile realizzazione ha saputo suscitare nelle maestranze dei cantieri navali, notoriamente poco inclini a simpatizzare col fascismo, pur nella consapevolezza che il Rex sarebbe stato usato dal regime per le sue iniziative propagandistiche. Col pensiero sono andato anche ai grandi successi aeronautici dell’epoca, ai fantastici voli di Balbo e De Pinedo, o alle imprese sportive: credo davvero sia accaduto lo stesso un po’ ovunque. L’orgoglio per l’eccellenza di un lavoro realizzato ritengo sia andato al di là, a un certo punto, delle valutazioni politiche e i cosiddetti “anni del consenso” indubbiamente si sono fondati sull’ampia ricaduta di un progresso che finalmente stava nobilitando l’Italia, nonostante si pagasse il prezzo della perdita di libertà politica. L’entità di questi costi, purtroppo, si sarebbe tragicamente rivelata circa un decennio dopo.

N.: La storia del Rex, a tuo avviso, potrebbe essere una valida metafora della parabola del regime fascista?
D.C.:Sì, possiamo senz’altro considerarla così. Il Rex è stato una delle realizzazioni più celebrate, creata per dimostrare la modernità e il progresso dell’Italia fascista, ed è finita sbriciolata dalla follia di una guerra voluta da un regime che alla fine ne è stato travolto, disseminando la nostra nazione di macerie morali e materiali dalle quali è stato penoso e difficile risollevarsi. Se ci pensiamo, non è accaduto solo al Rex. Le paludi Pontine allagate durante l’avanzata degli anglo-americani sono un’immagine che mi suscita la stessa penosa impressione. I filmati di repertorio che mostrano la distruzione del Rex inerme al largo di Capodistria fanno stringere il cuore e lasciano il retrogusto amaro della fine di un sogno, incenerito dalla miopia di chi aveva in mano le redini di un popolo e colpevolmente lo ha condotto alla tragedia.

N.: Scriverai ancora storie ambientate in quegli anni?
D.C.: Mi piacerebbe molto. Credo che siano anni che vadano ancora raccontati, esplorati, ricostruiti anche con lo strumento della narrativa. Ho un progetto, al riguardo, al quale lavoro da tempo perché lo sforzo di documentazione è notevole, per cui per scaramanzia preferisco non rivelare troppo. Diciamo che ha a che fare con un luogo esotico dell’Estremo Oriente citato alla fine di Ombre sul Rex, dove la presenza italiana, ancorché poco nota, ha lasciato tracce evidenti ancora oggi...

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