lunedì 28 maggio 2012

Progetto 7 (1970)

   Un'altro giallo in Italia, ancorché non un giallo all'italiana. L'autore è Alan Nixon, classe 1937, giornalista e corrispondente di varie testate in diversi paesi del Mediterraneo. Buon conoscitore dell'Italia, vive a Torino, città natale di sua moglie.
   La vicenda narrata in Progetto 7 (uscito nel 1972 come n. 9 dei Gialli Garzanti) si svolge nel 1970, quasi totalmente in una Roma tardoprimaverile, torrida e indifferente, singolare territorio di battaglia fra la corporation criminale guidata da Julian Rilke ("l'uomo che si muove solo per colpi da almeno nove zeri") e l'Interpol.
  Rilke si serve di Elena Mitalinos, affascinante quarantenne cipriota, e di sua "figlia" Vera, sadica e perversa dietro la maschera di ragazza dall'aria pulita, per truffare l'attempato banchiere romano Ettore Zanon, direttore del Credito Trasteverino, il vanesio politicante Benasco e il depresso albergatore Oreste Merlo, proprietario dell'Hotel Diplomat, con un falso furto di gioielli per oltre 2 miliardi e mezzo di lire.
  I "buoni", che romperanno le uova nel paniere a Rilke, sono l'agente inglese Maver, che avrà la sfortuna di capitare nelle grinfie di Vera che lo stordisce, lo denuda, lo cosparge di marmellata e lo lascia in una stanza chiusa in balia di uno sciame di vespe, e il poliziotto italiano Caligaris, tifoso della Lazio che sta per retrocedere in serie B (campionato 1970-71).
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  La trama è originale e avvincente, la scrittura di Nixon scorrevole. Emergono però, di tanto in tanto, alcuni stereotipi sull'Italia che non ci si aspetterebbe da un autore legato da un sì duraturo rapporto con il nostro Paese: politici e commercianti intrallazzoni le cui fortune dipendono dall'essere più o meno nelle grazie di cardinali o alti prelati..., taxisti che chiedono tariffe esorbitanti,... traffico automobilistico caotico e scomposto,... elementi della nobiltà romana fatui e nullafacenti...
  Inoltre Nixon fa un po' di confusione riguardo ai contestatori che in quegli anni postsessantottini imperversavano anche fra le strade della Capitale. Parla, infatti, di «maoisti seminudi» riferendosi probabilmente più agli hippies, ai figli dei fiori che bivaccavano in pianta stabile soprattutto sulla scalinata di Trinità de'Monti, a Piazza Navona, a Campo de' fiori o a piazza Santa Maria in Trastevere. Per contro, coloro che si ispiravano al Grande Timoniere - assurto, insieme a Che Guevara, ad icona della contestazione totale, dopo che Stalin era stato sconfessato dai suoi stessi epigoni e l'URSS veniva vista tutto sommato come la versione socialista dell'imperialismo USA - si distinguevano per una (almeno apparente) rigida moralità. Il sesso, infatti, era tabù nella Cina di Mao, ove 700 milioni di uomini e donne vivevano caste esistenze tutte tese al lavoro, alla produzione e alla glorificazione del Partito Comunista e del suo leader.
  Roma è il teatro della narrazione, ma praticamente quasi mai vengono citati luoghi precisi, quartieri, vie, piazze. Si parla en passant del bar Doney di via Veneto, forse per dare un tocco di "dolce vita", e c'è l'Hotel Diplomat, dove alloggiano Elena Mitalinos e Vera, di cui però non viene indicata l'ubicazione. Esiste realmente un Hotel Diplomat a via Vittoria Colonna, ma nulla può confermarci che sia quello descritto da Nixon che, probabilmente, ha scelto un nome piuttosto comune per un hotel (del tipo: Garden, Eden,...). L'assenza di descrizioni di luoghi, atmosfere, colori, a nostro avviso, rende la narrazione un po' troppo scarna. E se ciò, da un lato, va a vantaggio della scorrevolezza e della velocità, dall'altro lascia l'impressione che l'Autore avrebbe potuto giocarsi meglio una location inusuale per un giallo qual'è, appunto, Roma.

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